LA NOSTRA STORIA

Dai primi passi (2018) ad oggi (2023)

La storia di #Paneurbano nasce nel lontano gennaio 2018 quando mi sono trasferita da Verona (mia città natale) a Torino.

La domanda più ricorrente che mi sento fare è: ma tu già prima facevi il pane o ti facevi il pane o no?  E la seconda cosa che mi sento dire più spesso è: sei stata coraggiosa.

A volte non so bene come interagire con la seconda affermazione ma rispetto alla prima so bene cosa rispondere.

Iniziamo quindi da lì. La risposta alla domanda Ma tu prima ti facevi il pane a casa? È No.

Non mi facevo il pane a casa, né la pizza che compravo spesso la domenica sera soprattutto l’anno prima di trasferirmi perché a me la pizza la domenica mi è sempre piaciuta e da noi a Verona la domenica sera la magnano tutti. Non compravo nemmeno il pane tutti i giorni ma ogni settimana sì. Lo prendevo ad un mercato rionale dove c’era un panificio veronese storico che faceva pane con lievito madre da 20 anni. Fine della breve storia dei miei trascorsi con l’argomento pane.

Quindi come mai? Ti si è accesa una lucina folgorante che ti ha fatto scoprire questa passione?

La risposta è ancora una volta No.

Sempre l’anno prima di trasferirmi, una domenica con qualche amico si era cucinato qualcosa e fatto anche del pane che per altro era venuto la classica ciofeca casalinga e che non aveva innescato in me nessun colpo di fulmine. Quando mi sono trasferita a Torino a Gennaio anno 2018 avevo lasciato anche lavorativamente la mia terra natia e quindi ero ufficialmente disoccupata ma felice.

Altra domanda ricorrente è che cosa io facessi prima di sfornare pane.

Ho lavorato per 20 anni in un ufficio, facendo prima traduzioni di manuali tecnici e poi occupandomi di un centro assistenza per riparazioni di articoli elettronici. Insomma tutto quello che non c’entra né col pane né con un qualsiasi altro lavoro di tipo manuale o artigianale.

Eppure, eccomi qui oggi con il mio progetto ancora in piedi, a sfornare pane e a farlo così come me lo ero immaginato e come ho provato a realizzarlo.

Non mi dilungherò nei particolari pratici di come e quanto ci ho messo per mettere a fuoco le questioni burocratiche, economiche e di gestione. Quella parte esiste per tutti, per tutti in modo differente e con pazienza e metodo si può affrontare (anche con una sana dose di “rosari”), anche se per me la differenza maggiore l’ha fatta avere già amici che avessero fatto la strada prima di me perché quello è stato un tassello fondamentale per arrivare oggi a raccontare questa storia.

Arrivata a Torino ho fatto un corso di panificazione online organizzato dall’API. Il corso prevedeva parti teoriche e pratiche per principianti per produrre pani sia con lievito di birra che con lievito madre. Da qualche parte dovevo iniziare e non avevo trovato altre possibilità nell’immediato perché io volevo iniziare subito. Il corso prevedeva uno stage finale presso una panetteria della città che ho fatto e che mi è servito. Ma la cosa che ha fatto più la differenza è stato trovare una compagna di corso che avesse quella filosofia del fare pane che ho subito intuito essere nelle mie corde e infatti così e stato.

Dopo il corso, il diplomino e lo stage, ho iniziato a sperimentare. Dove lo facevo? A casa. Per chi? Per me, poi per qualche amico e sono passati mesi; mesi nei quali nel frattempo condividevo pensieri, prove, domande, dubbi, pesci da pigliare ecc ecc ecc con questa cara amica toscana e nel mentre capivo sempre meglio quale fosse il pane che mi piaceva e quindi quello che avrei voluto fare.

Sono stata in Toscana, terra natia non solo di questa amica di corso ma anche delle persone che poi ho conosciuto lì e che mi hanno accolto nei loro laboratori permettendomi di osservare ma soprattutto di assaggiare e di entrare in contatto non col loro lavoro ma con la loro vita; perché il fare pane delle persone che ho iniziato a conoscere allora e che ho poi continuato fortunatamente ad incontrare (come potete leggere nella sezione Progetti Amici) è stato conoscere non tanto ricette e modi e agricoltori e mugnai ma soprattutto pensieri e il sentire di queste vite che attraverso il pane avevano trovato un modo, il loro modo di esistere e di esprimersi che poi è quello che è successo e succede anche a me.

Non saprei raccontarlo diversamente da così anche se penso che forse avrei potuto e invece…

Ad ogni modo. Da quel 2018 pieno di quello che avete appena letto, arrivare all’anno successivo precisamente ad aprile quando poi ho ufficialmente avuto una Partiva Iva, un’iscrizione alla camera di commercio, il numero della commercialista tra i contatti, ero passata per l’idea del nome che avrebbe potuto avere questo progetto e il nome è sempre stato solo #Panerubano scritto con # davanti. A me piace da sempre dare nomi e soprannomi non per reclamizzare ma per raccontare o per il voler bene. Il mio cane aveva 20 soprannomi (il bene), #Paneurbano o i pani hanno dei loro nomi perché li raccontano o gli si vuol bene. #Paneurbano racconta di un progetto nato dentro il perimetro di una città e anche se fisicamente il laboratorio è da sempre in un piccolo paesino sulle colline del Monferrato, l’idea, il nome, il logo è nato tutto a Torino che è zona urbana.

Il nome quindi era cosa fatta, il logo beh era solo nella mia testa ma poi grazie all’amico Fabio è diventato anche reale, fisico, impresso sui primi biglietti da visita super fai da te, come tante altre cose che in seguito sarebbero venute.

Dalle prime prove domestiche alla necessità di dover creare una forma fisico legale al progetto anche solo per poter partecipare a qualche mercato che è sempre stata la mia idea di dove il pane si sarebbe trovato più a suo agio anche se io di mercati non ne avevo mai fatti in vita mia, ma quanto mi piacciono. Perchè alla fine le cose per me sono venute tutte da lì: da quello che mi piace e dal tentativo di farlo per bene.

3 2 1 mila e tra una telefonata, un confronto, una parola carpita, internet etc etc sono riuscita a trovare la formula giusta (legale) e l’ambiente giusto, che le colline della Val Cerrina mi hanno gentilmente offerto e che hanno ospitato il primo e poi anche il secondo laboratorio che è a pochi metri dal primo ma più funzionale e dove il forno a legna può entrare.

Sì perché io ho imparato a fare il pane così: tra della farina buona (coltivata nei propri campi o in quelli di amici che condividevano stessa filosofia/stesse pratiche etiche di coltivazione) che finiva nella madia o qualche minuto in impastatrice per poi essere lavorata con le mani, assieme ad acqua, alla “madre” e al sale…che poi creava degli impasti che finivano dentro al fuoco.

Il tutto condito con un personale e ben chiaro pensiero delle cose e quindi del pane.

Questo è stato il germe ed è sempre stata e sempre più è l’essenza di #Paneurbano, un progetto che nasce da una visione personale delle cose; che ha condiviso esperienze, visto luoghi, fatto prove, trovato strade, preso cantonate e trovato dentro di sé la propria strada che nonostante tutto rimane sempre la stessa e sulla quale, con lo zaino a volte più pesante, a volte più leggero, continua a camminare.